Un giorno di questa primavera, parlando del più e del meno con il mio amico Luca, è saltato fuori il discorso sul volontariato e della sua utilità. Lui mi raccontò che per diversi anni e svariate volte aveva partecipato ai vari progetti organizzati da Mission Moldova e mi chiese se fossi interessato ad entrar a far parte di questo progetto e di partecipare con lui alla prossima “missione estiva” e più precisamente al loro nuovo progetto dal nome intrigante di “missione Amicizia”. Presentatami così quest’occasione accettai subito e non vidi l’ora di mettermi in gioco. Prima di partire decisi di informarmi il più possibile sulla storia, la cultura e le tradizioni della Moldavia, questo piccolo stato sconosciuto ed ignorato dai più in Europa. La Moldavia, quasi sempre, ha avuto un ruolo periferico nella storia e per cercare segni di grandezza bisogna risalire al XV secolo quando il principe Stefano il Grande combatté strenuamente contro le truppe ottomane. Ma quello che più caratterizzò questo territorio è il fatto di trovarsi nel crocevia tra il mondo europeo e quello russo.
Ma bando alle ciance e iniziamo a raccontarla quest’esperienza… Con i miei compagni d’avventura (in 5 tra ragazzi e ragazze) siamo partiti da Trieste e, dopo un lungo viaggio, abbiamo raggiunto il piccolo villaggio di Creţoaia, che, anche se abbastanza vicino alla capitale, Chişinău, risultava letteralmente disperso nella campagna Moldava. A Creţoaia siamo stati ospitati nell’asilo parrocchiale gestito anche da due suore, Lucia ed Antonia, provenienti la prima dalla Polonia e la seconda dalla Transnistria con don Andrei il parroco del piccolo paesino di trecento anime. Ogni anno in estate, don Andrei, organizza un campo-scuola per i bambini della zona e noi avevamo il compito di supportarlo ed aiutare i bambini a svolgere le varie attività proposte. Il primo impatto con la vera realtà moldava non è stato facile, soprattutto per chi, come me, è abituato agli standard occidentali: non esisteva un’illuminazione notturna, una rete di strade, una rete idrica efficiente, un’infermeria, una scuola, un posto di polizia e il paesino più vicino si trovava a più di cinque chilometri di distanza. Inoltre le uniche strutture del paese, oltre le povere e modeste case, erano l’asilo, nel quale dormivamo la notte, e la chiesetta cattolica di San Antonio da Padova. Infatti don Andrei insieme alle due suore ha costruito un vero e proprio “faro” di speranza in mezzo a quel “mare di nulla”, un luogo sicuro e tranquillo dove i bambini della zona possono giocare e studiare.
Una delle cose che mi ha più colpito e che nello sguardo delle persone adulte che vivono in quel posto: ho percepito tristezza e rassegnazione che, a parer mio, rifletteva pienamente l’ambiente nel quale vivevano. Completamente diverso invece è stato l’impatto e l’incontro con i bambini: all’inizio erano tutti sospettosi nei nostri confronti, ma poi durante lo svolgimento delle attività la loro diffidenza si è dipanata velocemente lasciando spazio all’entusiasmo e alla voglia travolgente di giocare tutti insieme. La giornata standard era così organizzata: dopo aver partecipato tutti alla messa mattutina partivano i classici giochi, modello campo-scuola, a cui seguivano diverse attività didattiche; dopo aver pranzato tutti insieme (devo dire che ho apprezzato la cucina moldava!!!) ritornavamo a giocare, divisi per squadre, fino alla conclusione della giornata. Penso che, tra tutti i ricordi di questa meravigliosa avventura, che mi sono rimasti più impressi nella mente, sono stati i sorrisi che ci hanno regalato col cuore tutti i bambini ogni qualvolta giocavamo o facevamo attività con loro.
Consiglio a tutti, non di fare, ma di poter vivere quest’esperienza perché, oltre ad aiutare qualcuno che ne ha veramente bisogno, alla fine se ne esce largamente arricchiti.
Matteo Alvino